lunedì 21 luglio 2025

La Città Proibita

di Gabriele Mainetti.

con: Yaxi Liu, Enrico Borello, Shanshan Chunyu, Sabrina Ferilli, Marco Giallini, Luca Zingaretti, Paolo Buglioni.

Drammatico/Azione

Italia 2025
















Il tentativo di "italianizzare" il cinema di arti marziali non è certo una novità, anche se l'unico vero esperimento del genere è stato lo strambo Il mio nome è Shangai Joe di Mario Caiano, che già nel 1973 fondeva il kung fu con lo Spaghetti Western infarcendo poi il tutto con una carica splatter inusitata, sull'onda del successo che i film di Bruce Lee riscuotevano anche in Italia. E proprio la lunga ombra del Piccolo Drago è essenziale quando si parla di cinema di arti marziali in Italia, non solo per l'apprezzamento che i suoi exploit riscossero nei primi anni '70, quanto per l'immortale L'Urlo di Chen terrorizza anche l'Occidente che, con il suo duello finale nel Colosseo, resta tra gli esponenti più iconici del genere.
Se, quindi, non si è mai avuto un vero filone del "Maccheroni Kung Fu", non si può negare come la città di Roma rappresenti un setting eccellente per una storia di arti marziali. Cosa che il buon Gabriele Mainetti sa e forse proprio per questo ha cercato di forgiare il filone con La Città Proibita.
Un esperimento che, nella migliore tradizione del cinema di genere italiano, prende la lezione del cinema estero e la fa sua, ibridando i film di arti marziali con il dramma umano. Il risultato non ha sicuramente la forza di un Freaks Out, ma, anche al netto dei difetti, risulta davvero interessante.



La città proibita del titolo è il locale del mafioso Wang (Shanshan Chunyu), copertura per il traffico di esseri umani dalla Cina, nel quale irrompe la furibonda Mei (Yaxi Liu), alla disperata ricerca della sorella scomparsa. E che sorge ad un tiro di schioppo dal ristorante di Marcello (Enrico Borello), a sua volta taglieggiato dallo strozzino Annibale (Marco Giallini). I destini dei due finiranno inevitabilmente per incrociarsi.



Ma la città proibita è anche Roma, un luogo che "ti entra dentro e ti cambia", ma che a sua volta è cambiata: non più la patria degli Albertone e soci, è ora una metropoli multietnica, un crogiolo di volti e razze provenienti dai quattro angoli del globo, come in epoca classica.
La xenofobia innata della vecchia generazione diventa così il vero nemico, il rottame di un mondo passato perfettamente incarnato da un Marco Giallini sopra le righe, invecchiato con un make-up pesante per dare perfetto corpo ad una casta di fossili ambulanti la cui mentalità retrograda ha finito per distruggere il Paese prima ancora che sfruttare i più deboli.
Proprio il personaggio di Annibale è il fulcro della vicenda: un gangster che, come lo Zingaro, non è che un narcisista affamato di affermazione personale, un egoista la cui "fame" causa solo guai e che Mainetti si diverte a caratterizzare come una macchietta, come un personaggio da commedia le cui azioni però destabilizzano tutto e tutti.


Laddove la storia di Annibale e del figlio putativo Marcello è il classico dramma criminale, talvolta virato alla commedia, con cui Mainetti porta nel racconto un tocco di tipica italianità, di certo più interessante, per quanto classicissima, è quella di Mei.
Una storia che inizia quasi come l'Urlo di Chen, ma che diventa ben presto altro, pur restando confinata all'interno dei più puri canoni del filone, e che permette all'autore di portare in scena ottime coreografie nei combattimenti, splendidamente incorniciate dalla bella fotografia di Paolo Carnera, che sfoga tutta la sua vena creativa illuminando il locale di Wang e gli anfratti del sottobosco criminale, ma anche quel quartiere Esquilino notturno che sembra davvero uscito da un noir di altri tempi. A coronare il tutto, ci pensa la brava Yaxi Liu, già stuntwoman nel live-action di Mulan e marzialista di lungo corso, è semplicemente perfetta nel ruolo della fredda guerriera in cerca di verità.



Mainetti fonde così action, dramma e commedia, citando come ispirazione non tanto la bruceplotation, quanto il purtroppo misconosciuto Chocolate, film di arti marziali  tailandese del 2008 con la specialista JeeJa Yanin. Ma a differenza di questo bizzarro e bello exploit che lo ha ispirato, lui, purtroppo, a questo giro non riesce a tenere insieme tanti elementi così eterogenei.
Il film inizia benissimo, con una forma e un'estetica da tipico action hongkonghese e l'autore azzecca quel prologo con la rivelazione di come l'azione sia già ambientata in Italia e non in Cina. Ma piano piano la traccia narrativa di Marcello e Annibale prende sempre più spazio fino a fagocitare il resto, con la conseguenza che l'intero film finisce per avere una crisi di identità, divenendo un film di arti marziali dove sovente sia l'azione che la vera protagonista della storia vengono messi in secondo piano rispetto agli altri personaggi, i quali, per forza di cose, non riescono a tenere la scena a causa della loro caratterizzazione "tipicamente italiana". Perché se è vero che il vecchio gangster di mezza tacca di Giallini è sicuramente tanto spassoso quanto inquietante, lo stesso non si può certo dire del Marcello di Marco Borrello: tipico giovane uomo romano, tutto accento e famiglia, la sua storia è quella "tipicamente italiana", appunto, di un maschio schiacciato dal peso della famiglia e del lavoro, il quale si ritrova catapultato in una storia non sua e nella quale si muove a botte di battutacce, faccette e imprecazioni, di certo non il tipo di spettacolo che vale la pena barattare per un po' di sana azione. Soprattutto visto che, quando questa entra effettivamente in scena, di certo non delude. Mancanza di focus forse dovuta all'assenza del fido Nicola Guaglianone in sede di script, la cui penna era decisamente più vicina alla sensibilità di Mainetti rispetto a quella del duo Serino-Bises.



La Città Proibita vive così di due anime che non riescono a coesistere, dove quella italiana finisce per oscurare quella cinese togliendo in parte il divertimento, che in questo caso è anche il vero motivo di esistere del film. Mainetti firma un'opera certamente anticonvenzionale e, nel suo piccolo di film italiano, persino originale, ma che non ha di certo la forza dei due precedenti exploit che ne hanno reso celebre il nome, pur dimostrando lo stesso la sua solidità come puro filmmaker.

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