di Toshio Hirata, Mori Masaki, Shuichi Hirokawa.
Animazione/Drammatico/Storico
Giappone 1983-1986
---CONTIENE SPOILER---
Alle ore 8:15 del 6 Agosto 1945, il mondo è cambiato per sempre.
Il bombardamento della città di Hiroshima ad opera dell'esercito americano ha sancito la fine della Seconda Guerra Mondiale e l'inizio dell'Era Atomica. L'inizio dell'era del terrore, dello spettro dell'annichilimento definitivo. Ancora oggi, le immagini delle vittime del bombardamento del 6 agosto '45 e di quello del successivo 9 agosto su Nagasaki, rappresentano l'emblema del supremo orrore del quale l'essere umano è capace, anche al netto di quelle, altrettanto sconvolgenti, dei campi di concentramento scoperti in Europa.
Prima ancora, la coscienza di come l'intera razza umana possa essere spazzata via nell'arco di pochi minuti ha portato ad un risveglio del sentimento pacifista, della religiosità sentita, oltre che del condiviso antimilitarismo. Tanto che non sarebbe sbagliato dire come l'odierna sensibilità umana sia nata proprio quel 6 agosto, forgiata sulla pelle degli abitanti di Hiroshima prima, di Nagasaki dopo.
Differenti sono state nel corso degli anni le testimonianze, sia dirette che indirette, dell'olocausto nucleare in Giappone. Ma se ce ne è una che è riuscita a saldarsi in maniera indelebile nella cultura popolare, è quella data da Keiji Nakazawa con il suo manga Gen di Hiroshima.
Classe 1939, Nakazawa ha vissuto sulla sua pelle i terribili eventi di Hiroshima, sua città natale. Inutile dire come la tragedia lo abbia segnato in modo indelebile: quel fatidico giorno perse il padre, sua sorella maggiore e un fratello minore, mentre lui stesso contrasse una serie di malattie dovute alle radiazioni e alle terribili condizioni di vita nel periodo immediatamente successivo all'attacco.
I ricordi di quegli eventi furono rielaborati in un primo momento in due racconti a fumetti, tra le prime opere della sua carriera di mangaka, ossia Colpiti da una Pioggia Nera nel 1966, e soprattutto Io l'ho Visto, nel 1972, che riporta fedelmente la testimonianza di come sia sopravvissuto all'esplosione; proprio il successo di quest'ultimo fumetto convinse i vertici di Shonen Jump ad affidargli la creazione di una serie vera e propria incentrata sui suoi ricordi del periodo post-nucleare, che diventa la celebre Hadashi no Gen (ossia "Gen dai piedi nudi"), arrivata in Italia nel 1999 con il più ordinario ed esplicativo titolo Gen di Hiroshima.

In Hadashi no Gen, Nakazawa fa confluire ricordi e tragedie personali con altre più diffuse, creando uno spaccato lungo e complesso del Giappone nel periodo che va dagli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale alla fine degli anni '40. Protagonista è Gen Nakaoka, non un semplice doppio di Nakazawa, quanto un personaggio a tutto a tondo con il quale l'autore può appunto rielaborare esperienze proprie e altrui.
Un'opera la cui stesura è durata circa quattordici anni (ossia dal 1973 al 1987) e che è ufficialmente incompiuta, con un ultimo capitolo che avrebbe dovuto fungere da epilogo all'epopea di Gen più volte annunciato, ma mai concretizzatosi a causa dell'aggravarsi delle condizioni di salute dell'autore, che pur in tarda età ha contratto una forma di leucemia dovuta alle radiazioni del bombardamento; la storia di Gen, tuttavia, resta comunque completa, con un finale che in realtà chiude praticamente tutte le trame aperte nel corso della lunga pubblicazione, tanto che risulta praticamente sbagliato parlare di un finale mancante o monco.
Non un'opera perfetta, quella di Nakazawa: la lunga serializzazione lo ha forse forzato a dilatare troppo alcune trame, come nel caso di quella riguardante il personaggio di Ryuta, fratello putativo del protagonista la cui storia subisce diverse deviazioni per tornare sempre allo stesso punto. Allo stesso modo, molte situazioni tendono a ripetersi con variazioni poco sostanziali, facendo ritornare in scena eventi che si erano già visti. Senza contare come lo stile di disegno cartoonesco, tipico dei manga dell'epoca, possa risultare indigesto a chi preferisce le fisionomie verosimili a là Ryuchi Ikegami quando si tratta di raccontare una storia realistica e dal forte impatto drammatico.
Difetti i quali spariscono quando ci si approccia alla lettura, per scoprire come la forza umana e drammaturgica del manga siano innegabili.
E' impossibile non commuoversi leggendo le pagine vergate da Nakazawa. Le avventure di Gen e del fratellino Shinji prima, del suo doppio Ryuta dopo e del folto cast di comprimari che si avvicenda nel corso dei tankobon trasuda un'umanità tangibile.
Su tutto vige un sentimento di miseria prima ancora che di rabbia, la miseria che una generazione di innocenti ha dovuto provare suo malgrado a causa della megalomania del governo nazionalista di Hirohito e Tojo, della follia fascista che ha ridotto alla fame la popolazione per imbarcarsi in una guerra la quale non era preparato a combattere, figuriamoci a vincere, oltre che di chi grazie a quella guerra ha potuto speculare e prosperare senza praticamente dover pagare prezzo alcuno.
Nei primi capitoli, l'autore descrive la vita agra della gente comune durante il conflitto: la fame dovuta al cibo razionato, ma anche l'intolleranza verso chi si professa contrario alla guerra, con il padre di Gen, Daikichi, pittore e orgoglioso anti-patriota, subito bollato come paria; oltre che il razzismo verso i diversi, che si sostanza nella storia del vicino di casa Baku, di origine coreana ma obbligato a rinnegare patria e retaggio ed essere assimilato alla cultura giapponese, solo per dover poi dover vivere comunque ai margini della società.
Il dito di Nakazawa è sempre puntato contro i propri connazionali, persino quando ritrae l'invasore americano in modo dispregiativo. Il suo biasimo va tanto verso chi quella bomba l'ha sganciata, quanto e soprattutto verso chi ha portato in primis al conflitto.
Quando la bomba cade, spazza via un mondo già moribondo, ma l'autore non si risparmia nel ritrarre l'orrore concomitante all'esplosione e soprattutto il lungo dramma dei sopravvissuti. Le sue tavole ritraggono la tragedia di Hiroshima senza filtri o abbellimenti e, anzi, proprio lo stile naif dei disegni riesce a a convogliare meglio i dettagli più sconvolgenti.
Il ritratto che il mangaka offre è così insostenibile, ma quell'orrore così vivo e viscerale colpisce più il cuore che lo stomaco, senza mai scadere nel ricattatorio nonostante i problemi di lunghezza della storia.
Una storia che trova una serie di adattamenti già negli anni '70, quando viene trasposta in una serie di film live-action a partire dal 1976. Ma decisamente più celebre è l'adattamento animato che Hadashi no Gen conosce tra il 1983 e il 1986, diviso in due lungometraggi che ancora oggi permettono di fruire dell'opera di Nakawaza in modo più immediato e che, alla fine, sacrificano ben poco dell'originale.
Il primo film viene scritto dallo stesso Nakazawa e diretto a sei mani da Toshio Hirata, Mori Masaki e Shuichi Hirokawa, veterani del circuito televisivo che vengono ingaggiati dal mitico studio Madhouse; e pur non potendo contare sui budget faraonici di molte produzioni animate giapponesi dell'epoca, si pone lo stesso come un ottimo adattamento.
A colpire è in primis il bel character design di Kazuo Tomisawa, il quale, pur restando fedele al tratto originale, riesce a conferire ancora più carattere ai singoli personaggi.
La storia viene per forza di cose semplificata per poter essere riassunta in un totale di circa 170 minuti complessivi tra i due film, con il primo che ne dura 80 al netto dei titoli di coda. Una durata breve che causa l'omissione di alcuni personaggi e la forte semplificazioni di alcuni episodi, come quello di Boku, alla cui origine coreana stranamente neanche si accenna, oltre che l'elisione dei fratelli maggiori Gen, Koji e Akira, ma soprattutto il forte sfoltimento dell'episodio che narra del pittore Seiji, il cui story-arc finisce per essere del tutto sterile, perdendo la forza drammatica che aveva su carta.
Ma quando questo adattamento deve trasporre il cuore dell'opera, si dimostra perfettamente degno. La lunga e drammatica sequenza del bombardamento restituisce con livore tutta la carica orrorifica dell'evento. La scelta di ritrarre in modo diretto e crudo gli effetti del calore sul corpo delle persone crea un effetto straniante che ne restituisce appieno il senso di raccapriccio. L'uso di una palette cromatica del tutto innaturale, appaiata ad un sound design che consta del solo rumore del vento e dei boati dell'esplosione, trasmettono un senso di spaesamento quasi grottesco. I due sentimenti propri della tragedia, ossia la sorpresa e la repulsione, giungono allo spettatore come un pugno in faccia, serviti in una forma tanto surreale quanto credibile.

La storia di Gen, in questo primo film, si concentra sulla sua vita prima e dopo il tragico evento e si chiude con la morte della neonata sorella Tomoko. La struttura episodica del manga viene trasposta fedelmente, con il ragazzino che si sposta dapprima in scenari segnati dalla miseria, poi dal disastro.
Il risultato è un ritratto a tinte fortissime che però, proprio come il manga, non scade mai nel ricattatorio, tantomeno nel patetico spicciolo. E che, anzi, piuttosto che limitarsi a ritrarre il dramma al fine di coartare un sentimento di pietà, decide di celebrare la forza del suo protagonista e con lui di tutto il popolo nipponico, il quale, a prescindere dalla miseria e dalle mille difficoltà quotidiane, è sempre pronto a rialzarsi, sempre pronto a superare ogni ostacolo pur di sopravvivere, come le spighe di grano che il padre di Gen piantò per lui.
Nel 1986 esce nei cinema giapponesi la seconda parte del dittico, intitolata semplicemente Hadashi no Gen 2; ad essere trasposta è ora la porzione di storia che va dal flshforward che sposta gli eventi al 1948 sino alla tragica scomparsa della madre del protagonista, dovuta ad un lento avvelenamento da radiazioni.
Questa volta la regia è curata dal solo Toshio Hirata, mentre la sceneggiatura è firmata da Hideo Takayashiki, non più direttamente da Nakazawa; l'animazione risulta poi ancora più fluida, merito di un budget più alto.
Laddove il primo film era una storia di orrore, questo seguito è una storia di pura sopravvivenza, con i personaggi impegnati a cercare cibo e soldi per i medicinali. Il dramma è così ancora più umano, più tangibile per lo spettatore, che può identificarsi facilmente con Gen e il fratello adottivo Ryuta e con i loro neoacquisiti compagni, orfani di guerra lasciati a loro stessi.
Quella di Gen diventa così la storia di un ragazzino impegnato a sopravvivere alla giornata, stretto tra la responsabilità scolastica e la pura necessità di vivere in un mondo dove le vittime della guerra sono abbandonate. Un mondo che ha prima sfruttato quella gente comune per poi dimenticarla, lasciarla marcire tra le macerie della città e accatastarne le ossa nelle fosse comuni, riempite con noncuranza dai soldati americani. E dove i sopravvissuti alla bomba che portano sul loro corpo gli effetti dello scoppio sono visti con sospetto e aperto disprezzo, come dei moderni appestati.
Gli story-arc dei personaggi questa volta risultano incompleti, non è dato sapere se per una precisa scelta narrativa o perché inizialmente doveva essere prodotto anche un terzo film che trasponesse l'ultima parte del manga. Così che non trovano risoluzione né la storia degli orfani, né dell'anziano ex giornalista al quale il bombardamento ha causato una forma di sfinimento fisico e psichico.
Nuovamente, laddove lo script pecca di compattezza e compiutezza, trova la sua forza nel restituire appieno la forza drammatica del manga e, in generale, della storia, che anche qui viene caratterizzata come un inno alla forza di volontà di chi ha saputo rialzarsi dal colpo più feroce che la Storia potesse infliggere.
Ottant'anni dopo quel fatidico sei agosto, trentanove dall'uscita in sala di Hadashi no Gen 2 e trentotto dalla fine della serializzazione del manga in patria, quelle immagini così vivide proposte da Nakazawa e dagli adattamenti animati riescono ancora a sconvolgere, a scuotere nel profondo anche chi non era presente né durante la guerra, né nei decenni successivi, caratterizzati dalla costante presenza dello spettro della distruzione totale, prova di come il lavoro degli autori sia ancora oggi a dir poco essenziale.
Nel frattempo, il mondo è cambiato radicalmente: crollato il Muro di Berlino, finita la Guerra Fredda, le persone hanno forse dimenticato quell'orrore fino a qualche anno fa così presente tanto memoria collettiva che nella cultura, sia alta che popolare. E nella loro idiozia, hanno consegnato il potere assoluto ad una nuova generazione di imperialisti, demagoghi e veri e propri idioti i quali spesso paventano l'arma atomica come puro vanto personale.
Forse è vero che la Storia si ripete sempre: prima come tragedia, poi come farsa.