di Matt Shakman.
con: Pedro Pascal, Vanessa Kirby, Ebon Moss-Bachrach, Joseph Quinn, Julia Garner, Ralph Ineson, Natasha Lyonne, Paul Walter Hauser, Sarah Niles, Mark Gatiss.
Fantastico/Supereroistico
Usa 2025
Ma è davvero così difficile fare un film decente sui Fantastici Quattro?
Certamente il concept è antiquato, non per nulla la relativa testata è stata praticamente la prima che il dio dei comic Jack Kirby creò per l'allora neonata Marvel Comics. Senza contare come l'idea di una famiglia di supereroi con superproblemi è stata portata al cinema in modo definitivo da Brad Bird con il bel Gli Incredibili già nel 2004, con uno degli omaggi più sinceri al mondo dei supereroi che si siano mai visti.
Ma quando si tratta di portare sul grande schermo le imprese di quel primo supergruppo di famigliari affiatai e incasinati, ad Hollywood tremano i polsi e i risultati, fino ad ora, sono stati a dir poco imbarazzanti.
Si parte ovviamente con il mitico "bootleg" del 1994, orchestrato da Roger Corman per permettere al produttore Bernd Eichinger di mantenere i diritti di sfruttamento della testata. Il risultato è un film talmente brutto da diventare affascinante, ma non si può davvero essere cattivi con quello che è praticamente un mero obbligo contrattuale girato con un budget di appena un milione di dollari.
Si passa per i due exploit di Tim Story, datati rispettivamente 2005 e 2007.
Il primo, il quale è praticamente la prima vera incarnazione dei personaggi su grande schermo, porta la firma di Mark Frost sullo script, ma alla fine non è dato sapere quanto del lavoro dell'autore sia effettivamente arrivato su schermo. Perché quello giunto su schermo non è che una commedia che talvolta sfiora la parodia, un film che non riesce a prendere sul serio i personaggi neanche quando vorrebbe scadere nel patetico e che li fa muovere nella più ovvia delle origin-story nella quale persino l'arcidemonio Dottor Destino diventa una macchietta da strapazzo.
I Fantastici 4 e Silver Surfer è invece il perfetto esempio di potenziale sprecato. La storia è anche interssante, con l'inclusione del villain Galactus come minaccia cosmica e quel Silver Surfer magnificamente trasposto in tre dimensioni. Ma sul tutto vige l'aura della superficialità, persino quando si è semplicemente chiamati ad imbastire un elementare spettacolo a base di effetti visivi e avventura. Sciattezza perfettamente simboleggiata dal design di Galactus, il quale non è quello classico, caratterizzato da colori sgargianti e forme pacchiane tipiche del tratto di Kirby, abbandonate in favore di un design semplicemente inesistente, dove la sua apparizione viene risolta con una nuvola parlante, ossia la vera e propria morte della creatività.
E poi c'è ovviamente il già mitologico Fant4stic di Josh Trank, un film dove semplicemente non funziona nulla e a confronto del quale persino il film di Corman acquista dignità. A Trank forse non interessava neanche dirigere un adattamento della superfamiglia di Kirby e Stan Lee e vedeva l'opportunità di lavorare per uno studio come una pura occasione lavorativa. Tanto che la sua mancanza di entusiasmo si avverte ad ogni fotogramma.
Si parte dall'estetica, semplicemente anonima: le tutine azzurre vengono scartate in favore di un tristissimo look nero che fa sembrare questo exploit fermo ai primi anni 2000; la fotografa lava via ogni colore in favore di una palette dove dominano grigio e nero. Ogni forma di leggerezza viene bandita, se non in sparutissimi inserti, e vengono persino inseriti alcuni risvolti horror, con la scoperta dei poteri di Mr. Fantastic che sembra uscita da un body horror e le stragi del Dr. Destino degne di un film di Stuart Gordon. A ciò va ovviamente aggiunta una trama che trama non è, con il supergruppo che si limita a formarsi e a sventare la minaccia di turno, imbastita all'ultimo momento per dare un climax al tutto. Tanto che alla fine, più che ad un film sembra di assistere ad un brutto episodio di una brutta serie televisiva.
Riottenuti i diritti di sfruttamento, Kevin Feige può finalmente fare suo il celebre gruppo e inserirlo nel multiverso MCU. E per farlo, decide di fare le cose in grande... per modo di dire.
First Steps è di fatto il perfetto esempio di film Marvel Studios degli ultimi anni, quantomeno sul piano produttivo. Dopo un lungo development hell, Feige opta per un regista televisivo anziché spendere soldi per un grosso nome la cui visione deve necessariamente adattarsi alla standardizzazione made in Marvel. La scelta cade su Matt Shakman, veterano del piccolo schermo che per Feige aveva già diretto qualche episodio di WandaVision, ma il colpo di scena è presto servito: per i Fantastici Quattro si opta per un look alternativo, giustificato dal fatto di non essere ambientato nell'universo Marvel principale, il che gli dona immediatamente una personalità distinta rispetto al mare magnum di prodotti fatti con lo stampino.
Ecco quindi il supergruppo muoversi in un mondo camp ricalcato sull'estetica dei primi anni '60, in ossequio alla Silver Age dei comic, cosa non originalissima, sia visto il recente Superman di James Gunn che, soprattutto, il bel X-Men- L'Inizio di Matthew Vaughn. Ed ecco, finalmente, i Fantastici Quattro indossare dei costumi del tutto simili alle loro controparti cartacee in un film che non sia l'exploit cormaniano del 1994.
L'estetica è anche il pezzo forte del film, il quale, per il resto, vive dei soliti difetti delle produzioni Marvel.
Su tutto, ovviamente uno script claudicante. Laddove i personaggi hanno carattere e grinta e i dialoghi funzionano, la storia presenta buchi dovuti alla classicissima filosofia secondo la quale ogni film deve essere un episodio. Ecco dunque lasciata in sospeso non solo la vera natura di Galactus, della sua fame e del suo ruolo di divoratore di mondi, praticamente uscito fuori dal nulla e nel nulla ritornato, ma soprattutto il ruolo di Franklin Richards, il figlio di Reed e Sue, il cui potere è praticamente il centro di tutto il film, ma che non viene mai davvero spiegato a chi non ha mai neanche sfiorato un albo a fumetti.
Se lo spettatore che non conosce la fonte d'ispirazione si trova così spaesato una volta immerso in una storia dove mancano gli elementi essenziali per il giusto funzionamento, potrebbe rifarsi con il puro spettacolo. Da questo punto di vista, il film non delude... più o meno.
Le sequenze spettacolari di certo non mancano, come l'arrivo alla nave di Galactus o il confronto finale; ma la mano di Shakman è sin troppo televisiva, tende a risolvere praticamente ogni singola scena con inquadrature strette, spesso i canonici primi piani, cosi che la spettacolarità viene fortemente contenuta.
Su tutto vige così una mancanza d'enfasi e di completezza che avvicina pericolosamente il film ai territori televisivi. Tanto che a tratti, la sensazione è proprio quella di guardare un lungo episodio di una serie o una serie di episodi che narrano l'ultimo story-arc di una stagione. Una serie certamente più curata da quella concepita da Josh Trank, ma una serie pur sempre.
Forse è proprio questo il punto d'arrivo della filosofia dei Marvel Studios: quando decidi di creare film in serie, tutti con la stessa fotografia e la stessa estetica, con sparutissime eccezioni, e finisci persino per assumere dei semplici mestieranti dietro la macchina da presa, il risultato non può che essere televisione sul grande schermo, con un biglietto per ogni singolo episodio.
Episodi che, come in questo caso, sono talvolta molto più che dignitosi, ma episodi pur sempre.
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