martedì 8 luglio 2025

Hollywoodland

di Allen Coulter.

con: Adrien Brody, Ben Affleck, Diane Lane, Bob Hoskins, Robin Tunney, Kathleen Robertson, Lois Smith, Philio Mackenzie, Caroline Dhavernas.

Biografico/Giallo/Drammatico

Usa, Canada 2006

















Nel Maggio 1995, alla notizia dell'incidente che paralizzò a vita Christopher Reeve, la mente di molti spettatori e dei fan dell'Uomo d'Acciaio di casa DC non poté che correre ad un altro tragico evento che colpì uno degli storici interpreti di Superman.
Il 16 Giugno 1959, il corpo di George Reeves, che prestò volto e corpo a Superman a partire dal 1951, venne ritrovato senza vita nella sua casa di Los Angeles. Morto a soli 45 anni, Reeves lasciò un segno indelebile nella cultura popolare e per anni fu il suo volto ad essere quello associato direttamente al personaggio.
Ma il suo nome e la sua morte sono ricordate tutt'oggi per il mistero che ancora li permea. Sebbene inizialmente registrato come suicidio, il decesso lasciò perplessi molti di coloro che assistettero alla scena del crimine e soprattutto di chi conosceva la tumultuosa vita privata dell'attore.
Nel 2006, oltre cinquant'anni dopo gli eventi, Hollywood decide di rievocare la figura di Reeves in Hollywoodland, mix tra crime drama e biografia vera e propria atto a chiarire molti dei lati oscuri della vita e della morte dell'interprete.


Un'opera che all'epoca venne accolta molto bene: Allen Coulter ricevette una nomination come miglior regia al Festival di Venezia e la performance di Ben Affleck, che una decina d'anni dopo, paradossalmente, avrebbe combattuto Superman in Batman v. Superman- Dawn of Justice, gli valse parecchi riconoscimenti, compresa la Coppa Volpi.
Hoollywoodland rievoca la morte di Reeves tramite gli occhi di Louis Simo (Adrein Brody), immaginario detective privato losangelita incaricato di scoprire la verità dietro la morte dell'attore. La vita di quest'ultimo viene ricostruita per il tramite di flashback atti a disvelarne l'ascesa alla fama e la caduta in disgrazia, entrambe dovute a due figure femminili: l'amante Toni Mannix (Diane Lane), moglie di Eddie Mannix (Bob Hoskins), boss della MGM (la cui figura sarebbe poi stata rievocata dai fratelli Coen in Ave, Cesare!) e la fidanzata Leonore Lemmon (Robin Tunney).


Le ipotesi sulla morte di Reeves sono tre, ossia suicidio, omicidio per mano della Lemmon e assassinio per conto di Mannix, scontento di come la sua relazione con la Lemmon avesse causato la depressione della moglie Toni. 
Coulter e lo sceneggiatore Paul Bernbaum decidono di non dare una risposta al mistero, propongono tutte e tre le piste e lasciano che sia lo spettatore a decidere cosa davvero sia successo quella fatidica sera. Il focus del film riguarda piuttosto la persona di Reeves e, soprattutto, il mondo in cui questo si muove, un mondo fatto di gelosia e invidia, dove non esistono valori umani comunemente intesi.


Hollywood è il luogo dei sogni, ma la fama è sempre un'arma a doppio taglio. Una statuizione che nel 2006 era già vecchia, ma che qui trova la giusta forma.
Reeves diventa una star dalla sera alla mattina, ma le sue ambizioni vengono frustrate dal typecasting: a metà degli anni '50, essere il volto del supereroe per antonomasia era motivo di scherno e il costume di quello che già all'epoca era un'icona popolare non era percepito diversamente da quello di un comune clown.
Reeves diventa così l'ennesima vittima della cultura dell'apparire, di un mondo dove a nessuno importa davvero del talento o dell'ambizione, solo della vendibilità di un volto. Nella rievocazione tornano alcuni degli episodi più famosi a lui associati, come la proiezione test di Da qui all'Eternità durante la quale il pubblico rideva ad ogni sua apparizione e persino l'aneddoto secondo cui ad un evento pubblico un bambino cercò di sparargli con una vera pistola, per scoprire se fosse davvero a prova di proiettile, confinato in un sogno di Simo vista la sua poca plausibilità.
Il personaggio di Simo, poi, da buon detective, è lo strumento con il quale scandagliare la corruzione sottostante al business spietato, con i capi degli studio che arrivano ad utilizzare la polizia per spazzare lo sporco sotto al tappeto. A Hollywood non c'è genuinità, ciò che conta è la pura apparenza, dunque anche il mistero della morte di un attore è meglio che resti tale, con il fardello dell'indecifrabilità degli eventi che viene simboleggiato dalla figura dell'anziano culturista, apparizione lynchiana che accompagna Simo ogni qual volta sembra progredire con l'indagine.



Su tutto vige una coltre di tristezza, un'atmosfera mesta e funerea. La fotografia di Jonathan Freeman (poi attivissimo in televisione) desatura i colori e li vira al seppia, tecnica solitamente utilizzata per generare un sentimento nostalgico, che qui viene sostituito da uno di pura tristezza.
Hollywood diventa così non il luogo in cui i sogni si avverano, ma quello in cui sogni e ambizioni finiscono per morire, parabola malauguratamente calzante se si guarda alla figura di Reeves.
Laddove il cast fa il suo dovere e persino Ben Affleck riesce a creare un personaggio affascinante e empatico, la regia di Coulter è forse troppo vicina ad un formato televisivo, troppo ancorata alle parole della sceneggiatura, adagiandosi su di una narrazione "classica" che riesce sicuramente a trasmettere il giusto mood, ma che a tratti si dilunga sin troppo senza che nulla venga davvero aggiunto alla narrazione.



Hollywoodland è così un ritratto riuscito, anche se non memorabile, una rievocazione  di una figura suo malgrado tragica che ha fatto epoca, nonostante oggi sia poco ricordato.

venerdì 4 luglio 2025

Giordano Bruno

di Giuliano Montaldo.

con: Gian Maria Volonté, Charlotte Rampling, Hans Christian Blech, Mathieu Carriére, Renato Scarpa, Giuseppe Maffioli, José Quaglio, Paolo Bonacelli, Vernon Dobtcheff, Piero Vida.

Storico/Biografico

Italia, Francia 1973












Ottenuto il riconoscimento internazionale con Sacco e Vanzetti, Giuliano Montaldo decide di continuare la sua filmografia rievocando un altro caso oscuro di "omicidio di Stato", il quale aveva influenzato enormemente il pensiero dell'epoca in cui verificò. Ma questa nuova denuncia avrebbe affondato le proprie radici non nel passato prossimo, quanto in quello remoto, trattando il caso di Giordano Bruno, frate e filosofo del XVI secolo condannato al rogo dalla Santa Inquisizione nel 1.600, riletto in chiave moderna.



Il contesto nel quale il film esce in sala è del tutto particolare. Il Concilio Vaticano II, svoltosi tra il 1962 e il 1965, è riuscito a modernizzare, per quanto possibile, la Chiesa Cattolica, che ora è più vicina alle istanze riformiste della società. I conservatori persistono in molte frange dell'istituzione, ma soprattutto all'interno della politica, in particolare di quella DC sempre saldamente al potere. Nel frattempo, la società civile è infiammata dalla contestazione, dalle rivolte di intellettuali e privati cittadini, in particolare studenti e lavoratori, che reclamano diritti e garanzie e le cui richieste vengono spesso ignorante o sbeffeggiate dall'autorità.
La lettura di Montaldo del frate domenicano diviene così sia un atto d'accusa verso i vecchi costumi ecclesiastici, sia e soprattutto un atto d'accusa verso l'oscurantismo in generale, verso quelle istanze conservatrici che fanno persistere la società in posizioni vetuste a danno delle persone comuni e, in generale, dell'umano progresso.




Fra' Giordano Bruno trova in primis un'incarnazione vitale nel corpo e nelle movenze di Gian Maria Volonté, che di concerto con gli autori lo caratterizza come un uomo dalla vitalità incontenibile prima ancora che dall'intelletto tagliante. 
In una delle primissime scene, lo vediamo sedurre la nobildonna Fosca, interpretata da un bellissima Charlotte Rampling, moglie di un nobile veneziano. Bruno è così genio e sregoletezza? Non proprio, è più che altro un uomo moderno trapiantato nel XVI secolo, non un libertino nel senso stretto, quanto un filosofo che ha capito i limiti della dottrina ecclesiastica.
Il suo pensiero diventa quello di un pacifista schifato dal sangue versato nelle guerre di religione, di un giurista politico che auspica la secolarizzazione totale della politica, di un laico che predica la pace religiosa, di un religioso che pone dubbi sui dogmi della propria dottrina. Le sue idee divengono così la predicazione di un progressista che, nell'Italia dei primi anni '70, predica la modernizzazione di un costume ancora fortemente legato ad un conservatorismo il quale non ha più ragione di esistere.




Lo scontro tra Bruno e l'autorità cattolica viene però rievocato da Montaldo in modo meno radicale rispetto a quanto ci si possa aspettare. La sua figura non è semplicemente quella tragica di un filosofo illuminato mal sopportato, quanto quella di un uomo le cui idee, benché scomode, vengono quasi accettate dall'autorità, in particolare da quel pontefice, papa Clemente VII, il quale, nel condannarlo, si limita a seguire gli impulsi di una parte conservatrice dell'istituzione, non divenendo mai vero persecutore preoccupato di come la filosofia e in particolare l'eresia di Bruno possano inficiarne la figura e il potere.
Montaldo adotta quindi un approccio meno polemico, più trattenuto, ma non rinuncia lo stesso a dipingere Bruno come un martire sacrificato all'altare della preservazione dello status quo, ingenerando in parte un senso di incompiutezza nell'opera, piuttosto che di lettura oggettiva degli eventi.




Se la visione di Montaldo si fa quindi più cauta di quanto ci si sarebbe potuti aspettare, le immagini di Vittorio Storaro sono quantomai sfavillanti.
Prima di sperimentare con i cromatismi, il grande direttore della fotografia qui utilizza un'illuminazione naturalistica per le inquadrature, lasciando spesso che la luce filtri solo dall'esterno negli interni, creando contrasti quasi caravaggeschi. Nella costruzione delle scene, adopera spesso le oblique dal basso in modo tale che i personaggi torreggino verso lo spettatore, aumentando con facilità il pathos della vicenda.



La lettura di Montaldo è così storicamente coerente e al contempo proiettata verso la modernità in modo tutto sommato riuscito. Grazie alle immagini di Storaro, la sua rievocazione si fa quantomai vivida, ma pecca quando adopera un tono fin troppo mansueto per portare in scena quella che fu praticamente la storia di un provocatore illuminato schiacciato dalla repressione conservatrice.

giovedì 3 luglio 2025

R.I.P. Michael Madsen


 
1957 - 2025

Uno dei volti più riconoscibili del cinema americano degli ultimi 35 anni. Un caratterista dalla carriera sterminata, che conta oltre 330 ruoli tra cinema e televisione. Un uomo dal carattere difficile, dall'esistenza tormentata, i cui tumulti venivano esorcizzati anche con la poesia.
Michael Madsen è stato un interprete carismatico e solido, un volto granitico ed espressivo, spesso alle prese con ruoli malinconici per grandi autori, primo fra tutti Quentin Tarantino, che ne ha saputo sfruttare più di tutti la forte presenza.
Se ne va così un altro volto indimenticabile.